martedì 24 ottobre 2023

SALENTO.TORTURA UN CONIGLIO PER TOGLIERE IL MALOCCHIO. CONDANNATP

 Non c’è alcuna scriminante “culturale” nell’uccisione di un coniglio per scacciare il malocchio, nessuna giustificazione che possa ricavarsi da “asserite” usanze nella terra d’origine. Con questa motivazione è stato condannato alla pena di 10 mesi un uomo di 29 anni, di origini tunisine ma residente a Racale, che avrebbe provocato la morte del povero animale in presenza di una bimba di due anni (figlia della compagna) a cui avrebbe anche fatto intingere la mano nel sangue per lasciare poi una impronta sul muro. 

Una sorta di “rito” le cui immagini sono state pubblicate su Facebook, suscitando una reazione indignata di alcuni utenti tra cui una in particolare. Quella di una donna, colei che ha denunciato tutto ai carabinieri, che per tutta risposta sarebbe stata anche minacciata.

Il processo

Il processo si è svolto dinanzi al giudice monocratico Luca Scuzzarella che ha emesso sentenza. Il fatti risalgono al 2019, il decreto che dispone il giudizio al 2020. Il giudizio si è svolto con rito abbreviato, la pena quindi è stata calcolata tenuto conto dello sconto di un terzo. 
All’imputato erano contestati l’uccisione e la tortura di un coniglio «per crudeltà e senza necessità, alla presenza di una bambina». Secondo quanto emerso durante il dibattimento, l’imputato aveva giustificato proprio su Facebook il gesto, rispondendo alle contestazioni, come «tipico delle tradizioni culturali della propria religione e del proprio paese». 
Per il giudice: «L’imputato ha posto in essere la condotta descritta senza che ricorresse alcuna obiettiva e idonea giustificazione, bensì per futili motivi». 
«Ha agito in maniera del tutto arbitraria - si legge nella motivazione della sentenza - giustificando tale pratica sulla base dei una asserita tradizione tunisina finalizzata a scacciare il malocchio». 
Non è un reato «culturalmente orientato», quindi a parere del Tribunale. Circostanza che avrebbe costituito una scriminante. 
«L’appartenenza a una comunità religiosa di minoranza non esime coloro che abitano nell’ambito della comunità nazionale italiana - va avanti - dall’obbligo di obbedire alle leggi della Repubblica, al pari di tutti gli altri cittadini e di rispettare altresì i diritti e i valori degli altri consociati tra i quali rientra certamente il rispetto e la tutela del benessere degli animali». 
«Pertanto - conclude - sebbene la legislazione nazionale e la normativa europea ammettano la macellazione di animali anche secondo pratiche tipiche di alcune comunità religiose, ciò è autorizzato al solo fine di consentire il consumo della carne, e giammai allo scopo di pura esibizione». Non risulta per altro provato che la pratica “dimostrativa” sia effettivamente diffusa nella cultura del paese di origine del 29enne. 
Dieci mesi di reclusione, dunque, considerata anche la recidiva. E senza la concessione delle attenuanti generiche. Per l’uccisione e per le minacce aggravate. La sentenza è stata appellata dalla difesa, una volta depositata la motivazione. Si tornerà a valutare il caso anche in secondo grado.