venerdì 7 giugno 2019

PERCHE' I CANI CI SALUTANO QUANDO ARRIVIAMO?

Chi ha perso un animale molto probabilmente conosce la leggenda del Ponte dell’Arcobaleno. E’ una storia molto bella. C’è un luogo nell’aldilà, proprio alle porte del paradiso, dove si ritrovano dopo la morte i cani e i gatti e tutti gli animali che hanno condiviso la loro vita con un umano. E’ un grande prato dove il sole risplende sempre, ricco di acqua e di cose buone da mangiare. Ogni animale che vi arriva ritorna giovane e sano, e tutti giocano insieme felici. Ma ogni tanto qualcuno interrompe il gioco, si volta, annusa l’aria e scruta l’orizzonte eccitato. Il suo umano sta arrivando, e non appena lo scorge l’animale gli corre incontro veloce, gli salta in braccio, lo lecca felice mentre l’umano si perde nel suo sguardo dolce. Sono di nuovo insieme, e insieme percorreranno il Ponte dell’Arcobaleno per raggiungere il paradiso, dove nulla potrà più separarli.
E’ una leggenda recente, ma ha un sapore antico che ne fa un classico: a volte viene attribuita agli indiani d’America, a volte al mito nordico. In realtà è nata negli anni Ottanta negli Stati Uniti, forse per la penna di uno psicoterapeuta dell’Oregon specializzato nell’elaborazione del lutto, forse grazie ad una coppia di volontari della Pennsylvania impegnati nella cura dei furetti abbandonati. Grazie a internet s’è diffusa rapidamente in tutto il mondo, e oggi aiuta molti di noi a trovare un po’ di consolazione. Ma è anche, e forse involontariamente, la chiave per comprendere un aspetto essenziale della vita dei nostri compagni non umani: l’attesa. Fra i grandi piaceri della vita, come sappiamo tutti, c’è quello di tornare a casa e trovare il cane o il gatto (o il branco) subito dietro la porta, pronto a scodinzolare o a fare le fusa o a saltarti addosso, e insomma a manifestare tutta la gioia del ritrovarsi. In realtà, come sappiamo, nessuno dei nostri animali è rimasto tutto il tempo dietro la porta: ma ci ha sentito da lontano, ha percepito il nostro odore, ha riconosciuto il motore della macchina o magari – capitava sempre a mia moglie con Bob – il tono della scampanellata. E si è subito messo in posizione di attesa.
L’attesa è una modalità strutturale nei predatori, la maggior parte dei quali, una volta individuata la preda, passa letteralmente le ore, immobile, ad osservare e ad aspettare, studiando le vie di attacco e di fuga, memorizzando i punti deboli, individuando gli elementi di pericolo. Nei lupi e nei leoni, che cacciano in branco, è la capacità di attendere e di cogliere l’attimo, molto più delle condizioni fisiche, a decidere l’esito della partita. Immagino che i nostri gatti e i nostri cani abbiano ereditato dai loro progenitori selvatici questa virtù e questa tecnica. Quando esco dal bagno, non di rado trovo dietro la porta un paio di gatti seduti come statue egizie, cui a volte si unisce Bonnie, che sembrano non desiderare altro che la mia vista. Chissà, forse un Freud degli animali parlerebbe di predazione sublimata. Ma c’è un altro aspetto curioso nell’attesa e nel ritrovarsi. Quando vado in paese e dico loro di restare, Bonnie e Stella mi guardano in silenzio dal patio. Se sono eccitate e in vena, rincorrono la Jeep per un centinaio di metri, fino alla casa del vicino, e poi tornano a casa o restano dagli amici. Ma non mi salutano mai, non gli viene proprio in mente di salutarmi. Quando ritorno, invece, mi corrono incontro e scodinzolano e s’aggrappano al finestrino e appena scendo si schierano l’una accanto all’altra e poi si strusciano alle mie gambe: è ogni volta una festa grandiosa. I cani non salutano mai quando un umano o un altro cane se ne va, ma lo salutano sempre quando arriva. Perché?
Ho l’impressione che questo dipenda dalla loro concezione del tempo. Come i monaci zen, i cani vivono nel tempo presente. E dunque se mi allontano da Bonnie e Stella, semplicemente esco dal loro presente. Gli assenti non esistono. Quando invece torno, entro nel loro qui e ora e dunque ne stimolo le reazioni di gioia, di festa, di allegria. Non è vero che i cani non ricordano il passato e non anticipano il futuro: ma, almeno per quanto ne sappiamo finora, hanno ogni volta bisogno di uno stimolo presente. Però, come sa ogni umano che li frequenti, hanno anche la capacità di ricordare con precisione svizzera l’ora della passeggiata quotidiana, della pappa e di qualunque altra cosa diventi per loro un’abitudine. E, secondo una ricerca recente, sono in grado di stabilire quanto tempo è passato da un determinato evento (per esempio la mia partenza per Roma) calcolando quante molecole di quell’odore (il mio) sono rimaste nell’aria. La mente del cane, come del resto quella del gatto, resta in gran parte inesplorata. Ma ogni volta che ne scopriamo un pezzetto restiamo stupefatti dalla sua raffinata complessità.