da: ilfattoquotidiano.it,
Secondo i magistrati, dipendenti dell’Eni hanno scambiato le cozze che servono a monitorare la qualità degli scarichi in mare alterando così i dati sull’inquinamento delle acque. Sulla nave “Firenze” della compagnia petrolifera, ormeggiata al largo di Brindisi, infatti, i tecnici dell’Ispra nel 2014 avevano installato gabbie con mitili (“come bio-indicatori“). Ma a causa del mare mosso, i sacchetti con le cozze si sono rotti e alcuni dipendenti della compagnia petrolifera – scrive il gip di Potenza – “omettono deliberatamente di avvertire l’Ispra” dell’accaduto e sostituiscono le cozze con “altri mitili da loro procurati, inficiando di fatto l’efficacia del controllo ambientale“.
E’ uno dei passaggi contenuti nell’ordinanza che riguarda le attività dell’Eni, nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Potenza sulle attività estrattive in Basilicata legate al Centro Olio Val d’Agri di Viggiano (Potenza) dell’Eni, in cui è indagato anche Gianluca Gemelli, titolare della società I.T.S e della Ponterosso Engeneering e compagno di Federica Guidi, travolta anche lei dallo scandalo e costretta alle dimissioni da ministro dello Sviluppo Economico. Secondo il gip, due dei dipendenti Eni (oggi agli arresti domiciliari) “sono apparsi ancora una volta soggetti portatori di una significativa attitudine a incidere illecitamente sulle situazioni attraverso meccanismi di alterazione”, fino a spingersi “a situazioni artificiose destinate a ostacolare gli accertamenti”. I due dipendenti Eni, in alcune conversazioni telefoniche del 2014, ripercorrono l’accaduto, e in particolare la rottura dei contenitori: “Glielo diciamo a Ispra o no?”, “No, io sono qua con loro ma non glielo dico; io mi sto zitto e basta“, “Ce le rimettiamo, le compriamo e si rimettono”, “Eh va beh, le cozze dove le andiamo a prendere uguali?”.
I mitili “dovrebbero essere successivamente e periodicamente utilizzati – precisa il gip di Potenza – al fine di rilevare un possibile inquinamento ambientale causato dalle acque reflue scaricate dalla motonave, poiché nei tessuti dei mitili si bio-accumulano gli inquinanti, come metalli e idrocarburi“. La nave infatti veniva utilizzata per “la produzione petrolifera off-shore” e “durante il periodo temporale delle intercettazioni era al largo delle coste pugliesi”.