“Il cane di Pratella – hanno dichiarato i protezionisti – è solo l’ultima vittima del poco punito bracconaggio italiano. I lacci sono in realtà dei cappi metallici che possono stringere al collo come all’addome o a un arto il malcapitato animale. L’uso di questi lacci, ma anche di tagliole e altri arnesi di tortura, è comunissimo ma solo in pochissimi eventi si viene a sapere della loro presenza”.
Quattro i casi antecedenti a quello di Pratella, recentemente registrati dalle cronache italiane in danno dei cani. Il 30 aprile scorso, un grosso cane veniva salvato dai Vigili del Fuoco di Lamezia Terme (CZ); un cappio metallico per cinghiali lo aveva preso al collo. Pochi giorni dopo giungeva ai Carabinieri di Chiavari (GE) una dettagliata segnalazione sulla presenza di un cane bloccato da una trappola. Giunti sul posto i militari rintracciavano il cavo metallico ma del cane nessuna notizia. Il 24 maggio dello stesso mese era la volta di un altro grosso cane gravemente ferito da un profondo taglio circolare all’addome causato dal solito cappio a nodo scorsoio per cinghiali. Quattro giorni dopo la Polizia Municipale di Sommariva del Bosco (CN) provvedeva a salvare un cane bloccato alla zampa da una tagliola.
“I cosiddetti lacci dei bracconieri, come quello di Pratella, procurano atroci sofferenze e una lenta morte – afferma il CABS – Non sono rari i casi di amputazione della zampa bloccata dal nodo scorsoio che stringe sempre più ad ogni tentativo di fuga. Se il laccio, invece, arriva a cingere l’addome la morte sopraggiunge per rottura del diaframma mentre il soffocamento porrà fine all’atroce agonia dei poveri animali rimasti bloccati per il collo”.
Il CABS torna a chiedere l’inasprimento delle sanzioni che dovrebbero reprimere il diffuso bracconaggio in Italia. I reati previsti dalla legge venatoria sono tutti di natura contravvenzionale mentre, al pari dei reati contro gli animali d’affezione, occorrono reati-delitti”.