sabato 1 luglio 2023

CINGHIALI METROPOLITANI - verità nascoste e opportunità negate

 

 

Cinghiali Metropolitani

verità nascoste e opportunità negate

 a cura del dr. Francesco De Giorgio, etologo


Introduzione

La letteratura scientifica moderna, spesso tenuta nascosta, ha iniziato da diversi anni a raccontare il cinghiale come tra i più importanti ingegneri ecosistemici, importanti per il ripristino, lo sviluppo e il mantenimento della biodiversità, anche in contesti metropolitani. Recenti studi infatti, svolti in tutto il Mondo, mettono in evidenza quanto sia cruciale questa specie per la conservazione di altre specie vegetali e animali, anche di quelle a rischio di estinzione.

 

Il cinghiale, proprio grazie alle sue caratteristiche etologiche, grazie al suo movimento, al suo modo di interagire con l’ambiente, grazie alle sue azioni sul suolo e alle sue abitudini di pulizia e gestione del suo mantello, favorisce l’insediamento e la propagazione vegetale ed animale. Sono le stesse caratteristiche che ce lo fanno etichettare come animale distruttivo, nocivo e dannoso, mentre invece nella realtà lui è un costruttore di ambienti, benefico per la biodiversità, vantaggioso per l’ecosistema.

 

Perché allora questo accanimento verso una specie così importante?

Da una parte per retaggi culturali che lo hanno visto sempre come un animale che sfidava il potere umano, fin dalla notte dei tempi, e che quindi rappresentava un dovere e un onore perseguitarlo; da un’altra parte per il gusto delle sua carni, che una culinaria distorta sulle reali esigenze degli umani, ha sempre enfatizzato; da un’altra parte ancora perché visto nocivo da parte dell’agricoltura e di un’industria della coltivazione tesa alla iperproduzione, invece che ad un’economia armonica con l’ecosistema ma anche con le vere esigenze alimentari degli umani.

 

In più le sue forme anatomiche raccontano proprio l’animalità, ovvero quella caratteristica che anche noi umani abbiamo, ma che scegliamo di allontanare in favore di un’opinione, una speculazione, una religione che è quella chiamata umanità, mentre dall’altro canto l’animalità è un puro innegabile fatto biologico.

 

Anche la paura che proviamo nell’incontro con questi e altri animali, non racconta l’umano animale, ma piuttosto l’umano diventato troppo umano e rimasto poco animale, che ha perso una logica animale, che reagisce in modo sconsiderato e non appropriato, perché ha perso l’ascolto con la propria razionalità animale.

 

Noi animali umani non siamo stati sempre così, anche se una certa antropologia racconta i nostri antichi progenitori pre-sapiens, come primati terrorizzati dalla natura, ma questa è una narrazione riduzionista in quanto le varie forme umane che hanno popolato la Terra da milioni di anni era molto razionali, cognitive e audaci nel confronto anche di sfide naturali particolarmente impegnative.

 

Insomma i primi umani erano animali in contatto pieno con la loro animalità e con il mondo che vivevano. Noi dobbiamo rivedere questa narrazione per ogni animale, anche umano, sotto una critica scientifica, anche molto severa, perché tante scelte che si fanno per evitare una coesistenza direi ineluttabile, oltre che essere eticamente non accettabili, sono basate sulla negazione di molti aspetti biologici, ecologici ed evoluzionistici.

 

La sfida delleducazione allanimalità

Essere umano di oggi e del futuro, anche nella coesistenza urbana con i cinghiali, necessita l’acquisizione, anzi ri-acquisizione, di una specifica conoscenza che in gran parte dimentichiamo quando iniziamo a camminare in una società che ha rinunciato a tale patrimonio ereditario della durata di milioni di anni, ma che è sempre lì, invisibile ma estremamente presente in ogni nostra cellula, in ogni nostro pensiero, di quei pensieri che ci suonano strani, ma che invece vengono dalla profondità dell’animalità.

 

In questo senso le giovani generazioni e parliamo di ragazze e ragazzi dai cinque ai dodici anni vanno facilitati a seguire la strada dell’animalità e di una coesistenza incruenta con gli (altri) animali. E bensì questo non ha nulla a che vedere con il portare il pane alle anatre (che è anche letale), non ha nulla a che vedere con l’offrire ciuffi d’erba ai cavalli o a dare biscottini ai cani, che oltre che essere attività diseducative creano troppa reattività e trasferiscono ai giovani che l’animale è mendicante e che l’unica via di relazione è attraverso il cibo. Significa invece riportarli ad essere osservatori, piccole etologhe ed etologi che osservano il mondo animale senza giudizio, pregiudizio o aspettativa.

 

In questo senso coesistere con i cinghiali in contesto urbano rappresenta una fondamentale opportunità d’apprendimento, dove apprendere codici di comportamento, sviluppare una logica dell’interazione con l’altro, fare esperienza di un’etica animale, conoscere e riconoscere l’altro da se, saper essere razionali e non cadere in un’emotività che non appartiene al mondo animale.

 

Addirittura a scuola ci dovrebbe essere un’ora di animalità, anche di educazione fisica all’animalità, per riacquistare quel modo di muoversi e camminare che fa fluire le dinamiche di potenziale attrito, lasciando spazio solo ad un reciproco muoversi in uno stesso contesto, naturale o urbano che sia, senza creare i presupposti di tensioni e conflitti.

 

Includersi e includere in una società multispecifica non è solo un auspicio, un sogno, una visione, ma è ormai sempre di più una necessità, una responsabilità.

 

Eradicare cinghiali o altre specie? No, grazie.

Uccidere, deportare, rimuovere, rinchiudere animali selvatici, come nel caso dei cinghiali, in quanto sconsideratamente giudicati dannosi, pericolosi, nocivi, rischiosi per la salute umana, rappresenta un pensiero di provenienza ideologica più che scientifica. Anzi, come nel caso dei cinghiali, è proprio la scienza a dirci che questa non è la soluzione, ma le uccisioni di cinghiali, che hanno la sola colpa di valicare frontiere da noi messe, rischiano di incrementare il problema e di renderlo sempre più critico.

 

Lo spostamento, l’eradicazione, le uccisioni infatti non porteranno che ad aumentare il numero di cinghiali, anche in contesti urbani, in quanto tali metodiche di controllo e gestione, sono pezze che non tengono conto che la natura vince sempre e sa riadattarsi, supplire ai vuoti, mettere in campo nuovi poteri animali, nuove forze che porterebbero ad un’escalation animale, con un’escalation del conflitto. Diventerebbe così una guerra continua e sempre più cruenta da parte dell’umano e, sostanzialmente, inutile, se non peggio.

 

In più, come nel caso di Genova, c’è una differenza facilmente riconoscibile o che dovremmo imparare a riconoscere, anche se spesso viene negata dai tecnici, ma che ogni cittadino genovese più attento a questi animali sa, che esistono cinghiali stanziali e occasionali. I primi ormai si sono stabiliti da più di qualche generazione in luoghi come il fondo del torrente Bisagno, un luogo che considerano casa, che conoscono,  gli altri diciamo che ci capitano occasionalmente.

 

L’occhio di un etologo sa molto bene riconoscerne le differenze nel modo di muoversi, nel tipo di andatura, nel modo di osservare. I primi, gli stanziali, presidiano il territorio dall’arrivo di altri cinghiali. In pratica rappresentano essi la soluzione, dove noi invece vediamo un problema. Una soluzione che sarebbe etica ed etologica, insieme ad altri tipi di soluzioni incruente usate anche in altre realtà europee e non solo. Ma per arrivare a queste soluzioni bisogna essere preparati a mettere del tutto in discussione e da parte vecchie conoscenze, vecchie usanze e vecchie mentalità, spesso di matrice culturale venatoria.

 

Urbanistica animale, le sfide delle città del futuro

Ecco allora che serve un’urbanistica che tenga conto di una coesistenza sempre più ineluttabile, abbiamo bisogno della creazione di passaggi, strutture, edilizia pubblica che faciliti una coesistenza tra specie, anche selvatiche.

 

Abbiamo bisogno di architetti e ingegneri esperti del comportamento animale o che si facciano affiancare da etologhe ed etologi esperti in coesistenza, meglio se con base culturale antispecista, che sviluppino tessuti urbani dove anche l’animale umano possa trovare e ritrovare se stesso, dove ci siano spazi condivisi dove educare le nuove generazioni al coabitare con gli (altri) animali.

 

Questa non è un’opzione ideologica, ma una inderogabile necessità etica, moderna, sostenibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bio

Francesco De Giorgio biologo, etologo, naturalista, classe 1965, nato a Portici (Napoli), negli anni 80 allievo del prof. Danilo Mainardi, presso lUniversità di Parma, dove si è laureato in Scienze Biologiche con indirizzo Etologia, nel 1989.

 

Estato membro del Comitato Etico della Società Internazionale di etologia Applicata, perito tecnico presso la polizia olandese per un famoso caso di maltrattamento animale, ora Presidente dellAssociazione non-profit culturale Sparta Riserva dellAnimalità, in provincia di Imperia, Francesco De Giorgio si interessa anche di filosofia, politica e attivismo antispecista.

 

E' stato fondatore dell'Istituto internazionale di formazione Learning Animals insieme a sua moglie José. Promuove lo sviluppo di un paradigma di conoscenza, consistente sia nella teoria che nella pratica, all'interno di una lotta di liberazione per l’Animalità, anche umana.

 

Francesco dedica le sue energie non solo a comprendere e supportare gli animali in difficoltà, ma anche a porre in una luce diversa e allinterno di una prospettiva critica la questione animale, che lui afferma essere la madre di tutte le questioni che opprimono la nostra società e che va affrontata con etica, coscienza, attraverso una nuova matrice culturale che ponga centrale il punto di vista animale.

 

Francesco supporta e aiuta rifugi e santuari di animali, sia in Italia che allEstero. Docente esterno presso lUniversità di Innsbruck in Austria, relatore esterno per progetti di tesi in diversi atenei italiani e internazionali, supporta studentesse e studenti ad intraprendere percorsi di studio con una prospettiva etica, moderna e antispecista.

 

Autore di libri e articoli scientifici e divulgativi. Fra i suoi volumi: Dizionario Italiano/Cavallo (2010), Comprendere il Cavallo (2015), entrambi pubblicati in Italia. Equus Lost? (2017), pubblicato negli Stati Uniti e in Germania (2021), Nel nome dell'Animalità (2018), con la traduzione in spagnolo (2019).