Cinghiali Metropolitani
verità
nascoste e opportunità
negate
Introduzione
La letteratura scientifica moderna, spesso tenuta
nascosta, ha iniziato da diversi anni a raccontare il cinghiale come tra i più
importanti ingegneri ecosistemici, importanti per
il ripristino, lo sviluppo e il mantenimento della biodiversità, anche in
contesti metropolitani. Recenti studi infatti, svolti in tutto il Mondo,
mettono in evidenza quanto sia cruciale questa specie per la conservazione di
altre specie vegetali e animali, anche di quelle a rischio di estinzione.
Il cinghiale, proprio grazie alle sue caratteristiche
etologiche, grazie al suo movimento, al suo modo di interagire con l’ambiente,
grazie alle sue azioni sul suolo e alle sue abitudini di pulizia e gestione del
suo mantello, favorisce l’insediamento e la propagazione vegetale ed animale.
Sono le stesse caratteristiche che ce lo fanno etichettare come animale
distruttivo, nocivo e dannoso, mentre invece nella realtà lui è un costruttore
di ambienti, benefico per la biodiversità, vantaggioso per l’ecosistema.
Perché allora questo accanimento verso una specie così
importante?
Da una parte per retaggi culturali che lo hanno visto
sempre come un animale che sfidava il potere umano, fin dalla notte dei tempi,
e che quindi rappresentava un dovere e un onore perseguitarlo; da un’altra
parte per il gusto delle sua carni, che una culinaria distorta sulle reali
esigenze degli umani, ha sempre enfatizzato; da un’altra parte ancora perché
visto nocivo da parte dell’agricoltura e di un’industria della coltivazione
tesa alla iperproduzione, invece che ad un’economia armonica con l’ecosistema
ma anche con le vere esigenze alimentari degli umani.
In più le sue forme anatomiche raccontano proprio
l’animalità, ovvero quella caratteristica che anche noi umani abbiamo, ma che
scegliamo di allontanare in favore di un’opinione, una speculazione, una
religione che è quella chiamata umanità, mentre dall’altro canto l’animalità è
un puro innegabile fatto biologico.
Anche la paura che proviamo nell’incontro con questi e
altri animali, non racconta l’umano animale, ma piuttosto l’umano diventato
troppo umano e rimasto poco animale, che ha perso una logica animale, che
reagisce in modo sconsiderato e non appropriato, perché ha perso l’ascolto con
la propria razionalità animale.
Noi animali umani non siamo stati sempre così, anche se
una certa antropologia racconta i nostri antichi progenitori pre-sapiens, come
primati terrorizzati dalla natura, ma questa è una narrazione riduzionista in
quanto le varie forme umane che hanno popolato la Terra da milioni di anni era
molto razionali, cognitive e audaci nel confronto anche di sfide naturali
particolarmente impegnative.
Insomma i primi umani erano animali in contatto pieno con
la loro animalità e con il mondo che vivevano. Noi dobbiamo rivedere questa
narrazione per ogni animale, anche umano, sotto una critica scientifica, anche
molto severa, perché tante scelte che si fanno per evitare una coesistenza
direi ineluttabile, oltre che essere eticamente non accettabili, sono basate
sulla negazione di molti aspetti biologici, ecologici ed evoluzionistici.
La sfida dell’educazione all’animalità
Essere umano di oggi e del futuro, anche nella
coesistenza urbana con i cinghiali, necessita l’acquisizione, anzi
ri-acquisizione, di una specifica conoscenza che in gran parte dimentichiamo
quando iniziamo a camminare in una società che ha rinunciato a tale patrimonio
ereditario della durata di milioni di anni, ma che è sempre lì, invisibile ma
estremamente presente in ogni nostra cellula, in ogni nostro pensiero, di quei
pensieri che ci suonano strani, ma che invece vengono dalla profondità
dell’animalità.
In questo senso le giovani generazioni e parliamo di
ragazze e ragazzi dai cinque ai dodici anni vanno facilitati a seguire la
strada dell’animalità e di una coesistenza incruenta con gli (altri) animali. E
bensì questo non ha nulla a che vedere con il portare il pane alle anatre (che
è anche letale), non ha nulla a che vedere con l’offrire ciuffi d’erba ai
cavalli o a dare biscottini ai cani, che oltre che essere attività diseducative
creano troppa reattività e trasferiscono ai giovani che l’animale è mendicante
e che l’unica via di relazione è attraverso il cibo. Significa invece
riportarli ad essere osservatori, piccole etologhe ed etologi che osservano il
mondo animale senza giudizio, pregiudizio o aspettativa.
In questo senso coesistere con i cinghiali in contesto
urbano rappresenta una fondamentale opportunità d’apprendimento, dove
apprendere codici di comportamento, sviluppare una logica dell’interazione con
l’altro, fare esperienza di un’etica animale, conoscere e riconoscere l’altro
da se, saper essere razionali e non cadere in un’emotività che non appartiene
al mondo animale.
Addirittura a scuola ci dovrebbe essere un’ora di
animalità, anche di educazione fisica all’animalità, per riacquistare quel modo
di muoversi e camminare che fa fluire le dinamiche di potenziale attrito,
lasciando spazio solo ad un reciproco muoversi in uno stesso contesto, naturale
o urbano che sia, senza creare i presupposti di tensioni e conflitti.
Includersi e includere in una società multispecifica non
è solo un auspicio, un sogno, una visione, ma è ormai sempre di più una
necessità, una responsabilità.
Eradicare cinghiali o altre specie? No, grazie.
Uccidere, deportare, rimuovere, rinchiudere animali
selvatici, come nel caso dei cinghiali, in quanto sconsideratamente giudicati
dannosi, pericolosi, nocivi, rischiosi per la salute umana, rappresenta un
pensiero di provenienza ideologica più che scientifica. Anzi, come nel caso dei
cinghiali, è proprio la scienza a dirci che questa non è la soluzione, ma le
uccisioni di cinghiali, che hanno la sola colpa di valicare frontiere da noi
messe, rischiano di incrementare il problema e di renderlo sempre più critico.
Lo spostamento, l’eradicazione, le uccisioni infatti non
porteranno che ad aumentare il numero di cinghiali, anche in contesti urbani,
in quanto tali metodiche di controllo e gestione, sono pezze che non tengono
conto che la natura vince sempre e sa riadattarsi, supplire ai vuoti, mettere
in campo nuovi poteri animali, nuove forze che porterebbero ad un’escalation
animale, con un’escalation del conflitto. Diventerebbe così una guerra continua
e sempre più cruenta da parte dell’umano e, sostanzialmente, inutile, se non
peggio.
In più, come nel caso di Genova, c’è una differenza
facilmente riconoscibile o che dovremmo imparare a riconoscere, anche se spesso
viene negata dai tecnici, ma che ogni cittadino genovese più attento a questi
animali sa, che esistono cinghiali stanziali e occasionali. I primi ormai si
sono stabiliti da più di qualche generazione in luoghi come il fondo del
torrente Bisagno, un luogo che considerano casa, che conoscono, gli altri diciamo che ci capitano
occasionalmente.
L’occhio di un etologo sa molto bene riconoscerne le
differenze nel modo di muoversi, nel tipo di andatura, nel modo di osservare. I
primi, gli stanziali, presidiano il territorio dall’arrivo di altri cinghiali.
In pratica rappresentano essi la soluzione, dove noi invece vediamo un
problema. Una soluzione che sarebbe etica ed etologica, insieme ad altri tipi
di soluzioni incruente usate anche in altre realtà europee e non solo. Ma per
arrivare a queste soluzioni bisogna essere preparati a mettere del tutto in
discussione e da parte vecchie conoscenze, vecchie usanze e vecchie mentalità,
spesso di matrice culturale venatoria.
Urbanistica animale, le sfide delle città del futuro
Ecco allora che serve un’urbanistica che tenga conto di
una coesistenza sempre più ineluttabile, abbiamo bisogno della creazione di
passaggi, strutture, edilizia pubblica che faciliti una coesistenza tra specie,
anche selvatiche.
Abbiamo bisogno di architetti e ingegneri esperti del
comportamento animale o che si facciano affiancare da etologhe ed etologi
esperti in coesistenza, meglio se con base culturale antispecista, che
sviluppino tessuti urbani dove anche l’animale umano possa trovare e ritrovare
se stesso, dove ci siano spazi condivisi dove educare le nuove generazioni al
coabitare con gli (altri) animali.
Questa non è un’opzione ideologica, ma una inderogabile
necessità etica, moderna, sostenibile.
Bio
Francesco De Giorgio biologo, etologo, naturalista,
classe 1965, nato a Portici (Napoli), negli anni ’80 allievo del prof. Danilo
Mainardi, presso l’Università di Parma, dove si è laureato in Scienze Biologiche con indirizzo Etologia, nel 1989.
E’ stato membro del Comitato Etico
della Società Internazionale di etologia
Applicata, perito tecnico presso la polizia olandese per un famoso caso di
maltrattamento animale, ora Presidente dell’Associazione non-profit culturale
Sparta Riserva dell’Animalità, in provincia di Imperia, Francesco De Giorgio si interessa anche di
filosofia, politica e attivismo antispecista.
E' stato fondatore dell'Istituto internazionale di
formazione Learning Animals insieme a sua moglie José. Promuove lo sviluppo di un paradigma di conoscenza,
consistente sia nella teoria che nella pratica, all'interno di una lotta di
liberazione per l’Animalità, anche umana.
Francesco dedica le sue energie non solo a comprendere e
supportare gli animali in difficoltà, ma anche a porre in una luce diversa e all’interno di una prospettiva
critica la questione animale, che lui afferma essere la madre di tutte le
questioni che opprimono la nostra società e che va affrontata con etica, coscienza, attraverso una
nuova matrice culturale che ponga centrale il punto di vista animale.
Francesco supporta e aiuta rifugi e santuari di animali,
sia in Italia che all’Estero. Docente esterno presso l’Università di Innsbruck in Austria, relatore esterno per progetti di
tesi in diversi atenei italiani e internazionali, supporta studentesse e
studenti ad intraprendere percorsi di studio con una prospettiva etica, moderna
e antispecista.
Autore di libri e articoli scientifici e divulgativi. Fra
i suoi volumi: Dizionario Italiano/Cavallo (2010), Comprendere il Cavallo
(2015), entrambi pubblicati in Italia. Equus Lost? (2017), pubblicato negli
Stati Uniti e in Germania (2021), Nel nome dell'Animalità (2018), con la traduzione in
spagnolo (2019).