Scali che
farne?
Giuseppe Boatti Milano, 20170318
Milano dispone ormai di poche risorse in termini
di aree prevalentemente o totalmente non edificate e inutilizzatema intercluse
nel tessuto urbano. Tra queste principalmente gli scali ferroviari, la Piazza
d’armi, la Goccia di Bovisa, le caserme ed altre minori.
Per quanto riguarda gli scali ferroviari si
tratta di 1.250 000 mq, di cui 1.053.000 in trasformazione. L’accordo di
programma destinava circa la metà di queste aree all’edificazione, con la
possibilità di realizzarvi 674.00 mq di SLP per funzioni residenziali e
terziarie, pari a 2.022.000 mc convenzionali e circa 4.000.000 mc reali vuoto
per pieno, oltre ad eventuali servizi pubblici e privati in aggiunta, lasciando
a verde circa 525.000 mq.
Lo scopo della giornata odierna è riflettere
sulla opportunità che venga data rapida attuazione a previsioni urbanistichedi
questa natura, più o meno rivisitate, come sembra sostenerela giuntao invece riconsiderare
queste scelte, anche alla luce della prospettiva, comunque già avviata, della
revisione dell’intero piano di governo del territorio. Cercando di valutare la
questione non soltanto dal punto di vista degli aspetti procedurali, di diritto
e societari come è stato già fatto in altre occasioni, ma primariamente dal
punto di vista propriamente urbanistico: cosa puòsperare, volere, ottenere la città
dalla trasformazione di queste aree?
Solo un accenno alle principali motivazioni
di chi caldeggia il rapido varo del progetto: dare un futuro ad aree da tempo inutilizzate
e in qualche parte degradate, alimentare con offerte qualificate il mercato
immobiliare, utilizzare parte dei proventi immobiliari per realizzare vari tipi
di servizi, tra i quali la cosiddetta “circle line”, finalizzata ad
incrementare l’utilizzo del trasporto pubblico. Argomentazionilargamente
pubblicizzate, ad esempio nel workshop di FS di dicembre, sulle quali perciò non
pare necessario soffermarsi oltre.
Da parte mia svilupperò invece le ragioni del
dubbio e delle necessità di approfondimento, che mi paiono consistenti.
1.
Partiamo
dall’aria che respiriamo. L’Italia(a causa di Milano in primis) è sotto
procedura di infrazione per la persistente violazione dei limiti europei sulla qualità dell’aria. La Commissione
europea ha inviato all’Italiatestualmente un “ultimo avvertimento” il 15 febbraio 2017, intimandogli di
provvedere con adeguate misure. Dopo gli avvertimenti scatteranno le sanzioni
che saremo noi cittadini a dover pagare. E’ chiaro e fuori discussione che la
densità edilizia e di traffico nell’area urbana sono le cause di tale
situazione di inquinamento atmosferico, date le condizioni geografiche e meteo
climatologiche che non sono modificabili dall’uomo.Primo dubbio allora: non si
ritiene opportuno fermare o almeno rinviare ogni ulteriore densificazione
edilizia, come quella ipotizzata sugli scali e su altre aree dismesse, fino al
raggiungimento di uno stabile miglioramento della qualità dell’aria, o almeno
all’ avvio di unefficace piano di risanamento?In particolare le funzioni attrattive (cioè
caratterizzate da presenze prevalentemente o esclusivamente diurne, dunqueuffici,
commercio, servizi pubblici e privati, etc.) generalmente contribuiscono alle
emissioni piùdi quelle residenziali, per ragioni sia di richiamo di traffico
che di caratteri funzionali e tipologici. D’altro canto il mercato milanese e
lenon-norme urbanistiche vigenti
tendono a spostare il mix funzionale delle iniziative immobiliare verso tali
funzioni. Non si ritiene dunque di dovere in particolare contenere l’ulteriore
intensificazione nella città di tale gruppo di funzioni, invece largamente ipotizzate
e auspicate sugli scali?
2.
L’ulteriore
addensamento di funzioni attrattive nella
città centrale accresce le criticità nei comuni di cintura e in particolare in
quelli dove pure esistono sia risorse territoriali dismesse sia centri terziari
sviluppatisi nei decenni passati, che talvolta presentano ormai condizioni
critiche dal punto di vista dell’utilizzo. Non si ritiene dunque di dover
riconsiderare la deriva in accrescimento di tali funzioni a Milanoanche per
ragioni di equilibrio sociale ed
economico rispetto al resto dell’area
metropolitana?Altrimenti si corre il rischio che la crescita di Milano,
invece di essere sviluppo armonico, si trasformiin qualcosa di molto diverso:
concorrenza sleale, (al limite del parassitismo)nei confronti dell’hinterland.Dunque
prima di avviare nuove grandi operazioni terziarie milanesi si misuri bene lo
stato di salute, sotto questo profilo, della cintura metropolitana.
3.
L’entità
dello stock edilizio inutilizzato o
invenduto, da sommarsi a quello non ancora realizzato ma già convenzionato
o concesso è, a Milano, certamente molto rilevante, benché ad oggi non
precisamente quantificato. Non si ritiene opportuno sospendere decisioni che
legittimino nuova produzione edilizia fino all’accertamento dell’entità di tale
patrimonio e soprattutto all’assunzione di misure efficaci per il suo
“smaltimento”, posto che l’ulteriore alimentazione di un mercato immobiliare
sovraccarico potrebbe avere effetti ulteriormente depressivie, quel che è
peggio, distorsivi rispetto a diverse epiù
moderne e corrette direzioni di investimento?
4.
Il
sistema del trasporto pubblico milanese
è stato storicamente conformato da una cabina di regia strettamente urbana, con
conseguente sotto dotazioneinfrastrutturale e funzionale dell’hinterland, come
dimostra la pronunciata sproporzionedel taglio modale tra trasporto pubblico e
privato, nella cintura rispetto al capoluogo. Non si ritiene sia giunto il
momento di correggere questo squilibrio, spostando la cabina di regia dalla
città alla metropoli reale (dunque Monza compresa)? E di valutare se la
priorità di investimento non debba essere data a prolungamenti esterni delle
linee metropolitane, alla protezione del trasporto pubblico, al potenziamento
in genere del servizio extraurbano, particolarmente su ferro, alla
organizzazione degli interscambi ed altro ancora, piuttosto che alla
realizzazione della Semicircolaremilanese,
affetta da limiti funzionali non piccoli
( solo un treno ogni 20 minuti nella tratta nord più densamente edificata) e che
comunque aumenterebbe invece di diminuire il differenziale di accessibilità tra
città centrale e hinterland ( non dimentichiamo che la stazione di Porta Romana
è a soli 2km da piazza del Duomo) ? E poi
esisterebbero davvero le risorse per
fare la Semicircolare? Il vecchio ADP
vi destinava 50 milioni, considerati sufficienti per alcune delle sistemazioni
di stazione, utili per Ferrovie indipendentemente dalla attivazione di una
linea urbana. E il resto del progetto quanto costa e chi lo finanzia? Nella
documentazione non risulta esservi risposta.
5.
Chi
sostiene la bontà della trasformazione ipotizzata sugli scali (concentrazioni
volumetriche di funzioni attrattive epiù trasporto pubblico)la argomenta con il
miglioramento della percentuale traffico pubblico / privato che si otterrebbe.
Ma di solito non considera chela riduzione del valore percentuale della gomma
sul ferrosarebbe pagata con un aumento del suo valore assoluto, con esiti
finali altamente incerti e potenzialmente anche negativi: cioè con un possibile
aumento assoluto del traffico. Non
sembra opportuno approfondire assai bene la non semplice questione prima di
prendere decisioni irrevocabili?
6.
Gli
scali ferroviari sono invece una potenziale risorsa basilare per il futuro
sviluppo di una logistica urbana non
inquinante: arrivo delle merci su ferro molto vicino alla destinazione
finale e ultimo miglio su mezzi elettrici di varia tipologia. Si tratta
naturalmente di una prospettiva che presuppone una trasformazione profonda del
sistema di trasporto merci nella regione e anche nel paese, che tra l’altro è
ormai auspicata anche dalle Ferrovie. Data l’insostituibilità delle aree in
questione per ospitare queste possibile attrezzature, non si ritiene obbligatorio
far precedere ogni ipotesi di trasformazione degli scali dalla messa a punto
degli schemi progettuali per il loro utilizzo come piattaforme logistiche
urbane innovative, in modo da non bruciare per sempre questa opportunità? E ciò
non modificherebbe il perimetro stesso delle aree in dismissione?
7.
La
Milano compatta ha una dotazione di
verde ancora pressochélimitata ai parchiottocenteschi centrali, nonostante nel
frattempo siano completamente cambiate l’entità, le esigenze e la sensibilità
ambientale dei cittadini. Non si ritiene che, oggi, verde urbano voglia dire
anche orti urbani ed agricoltura di prossimità, land art, grandi spazi
attrezzabili per attività del tempo
libero, creazione di paesaggio ed altro ancora e che per tali funzioni gli
scali e le altre aree dismesse, a maggior ragione se fortemente urbane e
collegabili al sistema del verde metropolitano, siano una risorsa
irripetibile, imperdibile e in realtà di
enorme valore non solo ambientale ma anche economico strategico, proprio come è
stata, ad esempio, la creazione del Central Park a New York? Gli effetti della
trasformazione a verde di queste aree sarebbero clamorosi: con gli scali la
dotazione di verde della città centrale e semicentrale(per intendersi entro o a
diretto contatto con la circolare 90/91) crescerebbe del 57%. Una quantità già apprezzabile
persino da un punto di vista strettamente ecosistemico/ambientale(qualità e
temperatura dell’aria). Analogamente l’utilizzazione a verde della Goccia e di
Piazza d’armi avrebberoun valore simile, e persino più radicale, dotando la
fascia urbana compatta semiperiferica di grandi parchi di cui è oggi quasi del
tutto priva, essendo quelli esistenti situati solitamente in cintura, cioè all’esterno
del continuo edificato. Il sistema verde Bovisa- Farini, avrebbe poi il
carattere di una penetrazione di verde quasi continuadai parchi di cintura al centro
terziario di Porta nuova: un vero Central Park milanese.
8.
Non
mancano nel mondo esempi di grandi
parchi realizzati specificamente su
scali ferroviari dismessi. Ad esempio il Central Park di Valencia, il
Millennium Park di Chicago, il Rail Deck Park di Toronto, ilPark Spoor Nord di
Anversa, lo State Historic Park e il Taylor Yard River di Los Angeles, il Park
amGleisdreieck e il SchönebergerNatur-Park Südgelände a Berlino.Da notare che
di solito, grazie alla geometria fusiformequeste nuove aree verdi presentanoil vantaggio
di un grande allungamento degli affacci: il che moltiplica gli effetti di riqualificazione
urbana. Anche a Milano i fronti direttamente riqualificati sarebbero assai rilevanti.
9.
Gli
scali, la piazza d’armi, la Goccia della Bovisa, ed altre ancora, sono aree
sostanzialmente pubbliche, e come tali da non doversi nuovamente ripagare con
altri soldi pubblici. Non si ritiene che tali aree debbano essere perciò
destinate principalmente alla creazione dei nuovi parchi e di eventuali altri servizi
necessari e richiesti dalla popolazione, limitando
la nuova edificazione alla quantità occorrente per pagare il costo delle opere di
sistemazione a verdee di eventuali altri servizi o dell’edilizia
residenziale pubblica(oltre che degli smantellamenti, delle bonifiche
necessarie, e della sistemazione delle stazioni)?Quale può essere l’ordine di
grandezza della nuova edificazione occorrente in tale ipotesi? Il PGT stima
ufficialmente l’utile immobiliare medio
a Milano in 1.000 €/mq SLP. A Farini, Genova e Romana, i valori immobiliari
sono notevolmente superiori alla mediae dunque superiore è l’utile immobiliare,
che potremmo prudenzialmente valutarein almeno 2.000 €/mq. Se quantifichiamogli
extra costi che si vogliono coprire nella misura indicata dal vecchio ADPe vi aggiungiamo
quello della sistemazione a parco, si giunge ad un extra costo totale di circa
314 mln €, corrispondente all’utile immobiliare di 157.000 mq SLP contro i
518.000 dell’edilizia libera prevista nel vecchio ADP: meno di un terzo. Questo ridimensionamento consentirebbe di
lasciare e sistemarea verde circa l’80%
delle aree in dismissione. Ora, è del tutto evidente che i conti non
sipossono fare con questa grossolana approssimazione, sufficiente solo per determinare
l’ordine di grandezza delle variabili in gioco, ma questi sono i ragionamenti che
vorremmo veder sviluppati ed affinatidal Comune per tentare di definire un
possibile accordo con FS che sia nell’effettivo interesse pubblico.
10. Il vecchio ADP è molto lontano da questo
modello. Non mi soffermo su questo punto
perché un altro intervento entrerà nel merito dello squilibrio tra utilità pubblica
e privata nel vecchio ADP.
11. Quale proceduraadottare? Solo un accenno: sembrerebbe
di poter dire meglio e quasi obbligatoriamente all’interno della revisione del PGT
e comunque e soprattutto con approccio metropolitano, data la vastità delle implicazioni extra situ, che difficilmente possono essere
trattate di striscio ed accidentalmente in un ADP.
12. Chi deve rispondere a
tutte queste domande? Certo gli amministratori con adeguati supporti tecnici.
Ma su tali questioni, benché non semplicissime, vorremmo chei cittadini fossero
bene informati edirettamente chiamati ad esprimersi. La città è dei cittadini e
quando sono in gioco grandi questioni e risorse irriproducibili è giusto che possano
influire direttamente sulle decisioni.L’urbanistica
ai cittadini! Questa è la rivoluzione che oggi viene proposta.