Uno dei pochi, se non unico, corollario del recepimento italiano della cosiddetta Direttiva vivisezione del settembre 2010, sembrava essere quello del divieto di sperimentare cani e gatti randagi. Il Ministero della Salute, con un suo comunicato, ne aveva confermato l’intenzione nel novembre 2012. Un divieto, però, che discende dalla legge sul randagismo e non da quella relativa alla sperimentazione animale del 1992.
Ora, però, un dubbio ha iniziato a circolare in ambienti animalisti. Siamo sicuri che in Italia cani e gatti randagi non potranno essere vivisezionati?
A leggere lo schema di Decreto Legislativo proposto dal Governo appena poche settimane addietro (vedi articolo GeaPress), parrebbe che una porta aperta verso una ennesima concessione al mondo della sperimentazione, sia stata lasciata. Cani e gatti randagi potrebbero divenire oggetto di sperimentazione.
La questione è tutta compresa nel meccanismo di divieti, subito derogati, del quale è farcito non solo lo schema di Decreto Legislativo ma anche la Direttiva del settembre 2010.
COME POTREBBERO RIENTRARE IN CIRCOLO CANI E GATTI RANDAGI
In sintesi, la bozza di Decreto Legislativo consente di utilizzare anche cani e gatti provenienti da allevamenti e fornitori non autorizzati. L’incredibile concessione è quasi nascosta in quattro passaggi fondamentali.
1) Nell’articolo 11 dello schema di Decreto Legisaltivo che detterà banco alla sperimentazione italiana per almeno i prossimi 20 anni, viene riportata la seguente titolazione “Animali randagi e selvatici delle specie domestiche, cani e gatti“. Al comma 1 è in effetti “vietato l’impiego nelle procedure di animali randagi o provenienti da canili o rifugi“ ed anche di “animali selvatici delle specie domestiche“.
2) Nel comma 2 dell’articolo 11 è previsto l’impiego, in via eccezionale, di cani e gatti di cui all’Allegato I. Il Governo non allega al suo schema gli Allegati ma dovrebbe trattarsi di quelli della Direttiva di recepimento. L’Allegato I prevede infatti cani e gatti che finora abbiamo inteso come non randagi in base al supposto divieto.
3) Nell’articolo 10 relativo agli “Animali utilizzati nelle procedure” le cose, però, si complicano. Con il solito meccanismo di vietare e derogare viene infatti disposto al comma 1 che gli animali di cui all’Allegato I devono in effetti provenire da allevamenti e fornitori autorizzati. Dunque, tutto confermato? No!
4) Al comma 3 dell’articolo 10 così viene scritto: “In deroga al comma 1, il Ministero [ndr: della Salute] può autorizzare l’impiego di animali delle specie di cui all’Allegato I non provenienti da allevamenti o fornitori autorizzati, solo sulla base di giustificazioni scientifiche“.
Cosa si intende per cani e gatti “non provenienti da allevamenti o fornitori autorizzati“? Per la Direttiva Europea in Allegato I ci sono anche il Canis familiaris, il Felis catus, oltre che tutte le specie di primati non umani.
Erano ad esempio provenienti da fornitori non autorizzati i gatti prelevati dalla strada che agli inizi degli anni 90 vennero trovati all’interno di un Istituto dell’Università di Palermo. Lo erano pure i piccioni, così come i cani prelevati in strada ed inviati per la vivisezione prima dell’entrata in vigore della legge sul randagismo. C’è da sperare che quest’ultima legge risulti sempre superiore (in linguaggio giuridico, di settore) rispetto a quella relativa alla sperimentazione.
Ironia della sorte: il comma 5 dell’articolo 10 dello schema di Decreto legislativo, è quello che prevede la cosiddetta norma anti Green Hill, ovvero il divieto di allevamenti di cani, gatti e primati non umani per le finalità di sperimentazione. Tanto, come ebbe a riferire il rappresentante del Governo al Senato, possono (come ora) essere importati dall’estero.