«Gli squali non sono pericolosi per l’uomo, sono gli uomini a essere pericolosi per loro». È questo il mantra di ogni biologo marino eppure, a ogni «attacco», ecco che si va a caccia del «mostro». L’ultimo, in ordine di tempo,è avvenuto il 7 novembre a sull’Isola di La Réunion dove uno squalo tigre ha ucciso un turista britannico di 44 anni. Non mancano particolari scabrosi: una delle mani, con ancora la fede, è stata trovata nello stomaco del pesce, a sua volta trovato senza vita sulla spiaggia. «È molto più probabile morire per una puntura di vespa o di ape che per l’attacco di uno squalo - spiega Paolo Galli, professore di Ecologia e direttore del MaRHE Center dell’Università di Milano Bicocca - Gli squali attaccano, non c’è dubbio, ma in realtà, la maggior parte delle volte, non è un vero e proprio attacco, è più curiosità. Si avvicinano per studiare cos’è che hanno davanti e morsicchiano per capire meglio».
Ogni anno nel mondo si calcolano una settantina di attacchi di cui in realtà solo una decina hanno esito mortale. «Gli squali possono confondere una persona sul surf per una delle loro prede, non capiscono che è un uomo. Non vogliono attaccarci direttamente, pensano che siamo un animale marino. Ad ogni modo in Italia non ci sono questi problemi e nove volte su dieci quando si dice che c’è stato un attacco di uno squalo bianco in realtà non è vero».