ENNA – Nei giorni scorsi è stata compiuta una vastaoperazione, denominata “Biarmicus” dal nome scientifico del Falco lanario, di contrasto al fenomeno di bracconaggiodi specie protette, in particolare di rapaci, tra le provinie di Enna, Ragusa, Siracusa, Palermo e Avellino.
Le indagini, delegate dalla Procura della Repubblica di Enna e coordinate dal nucleo carabinieri Cites di Catania e dal SOARDA (Sezione Operativa Antibracconaggio e Reati in Danno di Animali) di Roma, si sono concretizzate nelle prime ore del mattino del 26 giugno e per tutta la giornata, in decine di perquisizioni con la partecipazione della sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri di Enna, del Centro Anticrimine Natura di Palermo, del nucleo Cites di Salerno e del gruppo carabinieri forestali di Avellino, con un impiego di oltre 30 militari.
Il personale tecnico del progetto Life Con.Ra.Si (Conservazione Rapaci Siciliani), da anni impegnato nella conservazione di rapaci a rischio in Sicilia, e i volontari del gruppo tutela rapaci hanno fornito supporto tecnico alle operazioni svolte.
Si è proceduto in tal modo, a dare un duro colpo all’ormai dilagante fenomeno del prelievo in natura di esemplari particolarmente protetti di rapaci diurni e notturni che, proprio a causa di tali condotte criminali, rischiano l’estinzione non solo dal nostro territorio ma anche, essendo per lo più specie migratrici, dall’interno del pianeta: in particolare le Aquile del Bonelli, gli ormai rarissimi Falchi Lanari e i Falchi Pellegrini, esemplari che gli appassionati sono disposti a pagare cifre nell’ordine di decine di migliaia di euro, destinati anche al mercato estero. Il prelievo dai nidi dei pulli (i pulcini dei rapaci) è il primo passo. Una rete di bracconieri, fra committenti ed esecutori materiali, disposti a tutto, segue gli spostamenti degli esemplari adulti fino a individuare i siti di nidificazione, poi con binocoli e cannocchiali seguono la schiusa delle uova e, dopo qualche giorno, armati di funi e imbracature, prelevano i piccoli cominciando ad allevarli in cattività. A quel punto, prima di poterli piazzare sul mercato, devono in qualche modo “ripulirli”, dissimulandone la natura selvatica, dotandoli di anelli identificativi contraffatti e falsificando certificati Cites, normalmente necessari per rendere lecita la detenzione e il commercio di tali specie, altrimenti rigorosamente vietati.
La Cites, ovvero la Convenzione Internazionale sul commercio delle specie a rischio di estinzione, siglata a Washington nel 1973, al fine di preservare dalla estinzione le specie più a rischio, ne impedisce il commercio, salvi i casi di esemplari riprodotti in cattività e tramite una serie di certificatirilasciati dalle autorità di gestione.
In Europa gli esemplari a rischio vengono elencati in quattro allegati al Regolamento Comunitario 338 del 1997, a seconda del grado di protezione. La maggior parte dei rapaci è inserita nell’allegato A, fra le specie più a rischio. Le indagini dei carabinieri forestali hanno portato alla denuncia, all’autorità giudiziaria, di otto soggetti e al sequestro di numerosi esemplari, fra cui: un falco lanario, 5 falchi pellegrini, 5 gheppi, 3 barbagianni, una civetta, 7 cardellini, 3 corvi imperiali, una cornacchia, 31 testudo hermanni (le nostre tartarughe di terra), e poi reti per uccellagione, trappole, imbracature e certificati contraffatti.
A carico dei soggetti in questione sono configurabili gravi ipotesi di reato che vanno dal furto aggravato (la fauna infatti è patrimonio indisponibile dello Stato), alla ricettazione, al riciclaggio, ai maltrattamenti, al falso ed alla violazione della Legge 150/92, sulle specie Cites (norma che per questi casi prevede la sanzione dell’arresto fino a 2 anni e l’ammenda fino a 150mila euro) e della Legge 157/92 sulla protezione della fauna omeoterma.
I carabinieri invitano a prendere le distanze da un approccio collezionistico di chi tiene in cattività tali, nobilissimi, e ormai rarissimi animali che dovrebbero, invece, essere ammirati nel loro ambiente naturale.