O meglio la sua parente più prossima, perché per Susanna quel vecchio cavallo lipizzano è uno di famiglia, un regalo ricevuto anni fa e mai abbandonato. Susanna però vive a Roma e Siglavy aveva bisogno di un posto adatto dove stare. Lei gli aveva trovato un maneggio vicino a Ladispoli, un posto confortevole nella campagna tra la capitale e il mare. Un posto da cui Siglavy è sparito insieme ad altri quattro cavalli due notti fa. La proprietaria del maneggio ha sporto denuncia, i carabinieri l'hanno registrata, ma Susanna ha l'impressione che nessuno si darà troppo da fare per il suo «parente». Non si dà pace e lei, da intraprendente professionista, si è informata come poteva. Ma chi ruba cavalli nel 2019? La risposta che ha trovato le ha gettato addosso un'ansia peggiore dell'incertezza.
Da inizio anno, nel Lazio Nord, tra la costa e il lago di Bracciano, sono stati rubati ottanta cavalli. Non sono purosangue da corsa e il sospetto nell'ambiente degli allevatori è che siano destinati a finire nel giro dei macelli clandestini. Anche Dora, la proprietaria del maneggio, non si rassegna e offre una ricompensa.
Chissà, cinquant'anni fa al posto del «Chi l'ha visto?» ci sarebbe stato un avviso di «taglia». Perché la banda dei cavallari nel secolo del web suona come un ossimoro, una vecchia fotografia fuori posto. Ma non un'istantanea del Far West o una scena sognata da Sergio Leone. Perché chi conosce la provincia del Centro Italia sa bene che è da sempre terra di cavalli. Poco più a Sud, nell'agro pontino, agli scolari delle elementari si racconta ancora della volta che sostò a Cisterna di Latina Buffalo Bill. Il cowboy più famoso del West ingaggiò una discussione con un ricco possidente erede di un'antica famiglia nobiliare romana, il duca Onorato Caetani, che vantava l'abilità nel cavalcare e domare le bestie dei suoi «cowboys», i butteri che guidavano la transumanza del bestiame nell'agro pontino. L'intrepido Bill volle sfidarli: i poveri vaccari italiani delle pianure paludose contro la stella più brillante del West. «Il morello, tenuto con le corde, si dibatte frenetico; -raccontano le cronache dell'epoca- s'alza sulle zampe di dietro, tira rampate. I butteri le schivano sempre con la sveltezza di uomini esperti. Riescono finalmente a mettergli la sella con il sottocoda, e d'un salto uno dei butteri gli è sopra». È Augusto Imperiali da allora, e per sempre, il buttero che battè Buffalo Bill.
Più a Nord, nel Parco della Maremma, galoppa ancora Alessandro Zampieri, l'ultimo erede di quella tradizione. Un buttero che lavora per la Regione Toscana, pascolando le imponenti vacche di razza Maremmane e appassionando i visitatori con i suoi racconti.
Chissà che farebbe Augusto Imperiali se Siglavy fosse uno dei suoi cavalli. Forse setaccerebbe le campagne al galoppo con i suoi compagni d'avventura. Come John Grady con i Cavalli selvaggi raccontati da Cormac McCarthy.
Gli allevatori derubati si limitano a scambiarsi notizie e segnalazioni. Secondo alcuni testimoni, la banda dei cavallari sarebbe composta da cinque persone più un autista. Probabilmente a guidarli c'è qualcuno che conosce bene gli allevamenti della zona, perché i colpi sono sempre mirati. I ladri agiscono spesso nelle notti giuste, quando c'è meno attenzione, sanno chi colpire e in alcuni casi hanno anche evitato la videosorveglianza. Le vittime si disperano e pressano i carabinieri perché anche loro montino a cavallo, anche se c'è da perseguire un reato, l'abigeato, che pareva un ricordo del passato. Susanna ci spera lo stesso. In fondo, John Grady alla fine i Cavalli selvaggi li ritrova.